Da sempre l’arte costituisce, in tutte le culture, non solo un modo per comunicare e per rappresentare, ma anche un modo per dare voce a ciò che ancora è indefinito nelle parole.
Da quando la rappresentazione è stata delegata alla fotografia, sempre più accessibile e prolifica con le tecniche digitali degli ultimi decenni, noi tutti abbiamo appreso a comunicare per immagini, dato che, come dice il proverbio, un’immagine vale mille parole.
Ma talvolta è il significato stesso ad essere ancora indefinito, poco chiaro. Forse perché il contenuto ci spaventa, o è in movimento, o forse perché è doloroso e troppo pericoloso avvicinarsi. Ma proprio in queste occasioni manca l’elaborazione, che si può completare soltanto nella condivisione e dal rispecchiamento nella relazione.
Ecco allora che le immagini vengono in aiuto, e la funzione dell’artista diventa quella, evocativa, di comunicare stati emotivi e psichici rappresentandoli, dando voce a chi non padroneggia la tecnica che spesso è costretta ad uscire dal figurativo, trasmutando essa stessa facendosi onda e isola nel suo farsi pressione, sbriciolamento del pastello e viscosità dell’olio in un verde troppo trasparente che inciampa nella trama della tela, diventando Cadmio pesante che si impone con il suo corpo spesso, blu di Phthalo che sa accompagnare verso la gioia…
Così, quando nei nostri cuori sentiamo un mare tempestoso a cui non sappiamo dare un nome, troviamo equilibrio nella musica, ed esprimiamo visioni per raccontare e comprendere.
Ecco che in queste occasioni l’arte e la consapevolezza convergono, permettendo entrambe lo stesso sguardo innocente ed acuto sull’abisso di terrore come sull’effimera schiuma, diventando quella tavola da surf che ci permette di galleggiare vigili, nonostante la tempesta del nostro umore storto.